«Il realismo magico è definito come ciò che accade quando una situazione realistica e molto dettagliata è sconvolta da qualcosa impossibile da credere. C’è un motivo se il realismo magico è nato in Colombia.» Narcos, stagione 1 episodio 1.
Narcos è una serie televisiva drammatica e poliziesca di Netflix creata da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro. La prima stagione, composta da dieci puntate, è andata in onda nel 2015. Il 2 settembre 2016, Netflix ha pubblicato i dieci episodi della seconda stagione. La serie racconta la storia del narcotraffico e la sua diffusione negli Stati Uniti e in Europa dagli anni ’80. Le prime due stagioni s’incentrano sulla lotta della DEA e delle autorità colombiane contro Pablo Escobar e il cartello di Medellín. La terza e quarta stagione, già confermate, racconteranno la lotta al cartello di Cali.
Ammetto che prima di cominciare questa serie non sapevo molto di Pablo Escobar. Spinta dalla curiosità di approfondire l’argomento e dalle ottime recensioni, ho deciso di recuperarla. Ora che l’ho finita e mi è piaciuta molto, vi do tre buoni motivi per vederla.
1) Il realismo della ricostruzione
La storia è raccontata dalla voce narrante dell’agente della DEA Steve Murphy (Boyd Holbrook). Inframmezzati alle scene interpretate dagli attori, si susseguono filmati d’epoca che ci ricordano che quella che stiamo vedendo è la ricostruzione di una vera pagina di storia. Contribuisce alla veridicità anche il fatto che buona parte dei dialoghi sono in spagnolo con i sottotitoli. Ho apprezzato molto quest’ultimo aspetto, che mi ha ricordato alcune scene significative di Breaking Bad, un telefilm che ho amato. Infine, la location è proprio la Colombia, il luogo dove si sono svolti i fatti, con i suoi edifici, le strade, i boschi e le montagne. Tuttavia, il realismo può essere anche un buon motivo per non guardare la serie: se non amate vedere spargimenti di sangue e violenza, allora state alla larga da Narcos.
2) Wagner Moura interpreta magistralmente Pablo Escobar
Narcos vuole raccontare le storie della droga e dei narcotrafficanti più famosi. Il primo fra questi è Pablo Escobar, che nella serie è interpretato da Wagner Moura. Per calarsi nella parte, Moura ha studiato la vita di Escobar, ha vissuto in Colombia per due anni imparando la lingua e assimilandone la cultura ed è perfino ingrassato di venti chili per il ruolo. Questo gli ha permesso di portare sullo schermo un personaggio che mostra non solo il criminale e le sue gesta terribili, ma anche l’uomo e i suoi lati meno conosciuti. Allontanandosi dallo stereotipo del cattivo bidimensionale che si vede spesso, il risultato è un’interpretazione magnetica e profonda. Va detto che la qualità complessiva della recitazione è ottima. Molti altri personaggi, come Javier Peña (Pedro Pascal) e Horacio Carrillo (Maurice Compte), sono caratterizzati splendidamente e restano impressi.
3) I due punti di vista contrapposti non rientrano nel cliché “buoni contro cattivi”
La riflessione precedente su Wagner Moura si allaccia al terzo motivo. Da una parte abbiamo la DEA e le autorità colombiane. Dall’altra ci sono Pablo Escobar e il cartello di Medellín. L’opposizione fra buoni e cattivi potrebbe sembrare netta. Invece, in questa serie anche i cosiddetti buoni si macchiano di crimini orribili come i cattivi. Quindi, i personaggi si situano in una zona grigia, dove il confine fra buoni e cattivi, fra bene e male, fra giusto e sbagliato, è sottilissimo. È una caratteristica non frequente che ha il vantaggio di dare complessità e credibilità ai personaggi e alla trama.
Quindi, concludendo, se le mie tre motivazioni vi hanno convinto, non dovete fare altro che cominciare il binge-watching. Su Netflix sono disponibili la prima e la seconda stagione.
Voto complessivo: 9
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