Barbara Salardi

"We are all stories in the end. Just make it a good one."

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Il mestiere dello scrittore di Murakami Haruki, un saggio autobiografico sulla scrittura

Lo scorso febbraio è uscito Il mestiere dello scrittore, un saggio autobiografico di Murakami Haruki, edito da Einaudi e tradotto da Antonietta Pastore.

Il volume

Va detto che non è la prima volta che Murakami parla di scrittura. Già nel saggio L’arte di correre, le sue considerazioni sulla scrittura affiancavano quelle sulla corsa, la seconda attività svolta da Murakami quando non si dedica alla stesura di romanzi. In questo saggio, tuttavia, l’autore ripercorre la sua carriera trentennale di romanziere e ci accompagna nella sua bottega offrendoci uno spaccato del mestiere visto dalla sua prospettiva.

Le riflessioni che si susseguono riguardano la definizione di romanziere, l’originalità, il tempo che si dedica alla scrittura, quali personaggi si portano in scena e per chi si scrive un romanzo. Fra un’idea e l’altra, Murakami non manca di rivolgere qualche critica ai suoi detrattori, al rinomato premio Akutagawa, al sistema scolastico e alla società giapponese nel suo complesso.

Impressioni

Murakami ha la caratteristica di avere uno stile fluido e scorrevole, pertanto la lettura di questo volume è piacevole e per nulla difficoltosa.

In particolare, riguardo alla scrittura, quello che spicca è un concetto che Murakami aveva già espresso in L’arte di correre, ovvero come la perseveranza sia la chiave di tutto.

Per sua stessa ammissione, questo libro non è un manuale di scrittura, quanto piuttosto un saggio autobiografico. Murakami non si stanca di ricordare come la sua entrata nel mondo dell’editoria sia cominciata vincendo un premio letterario. Dopo il successo avuto in Giappone, ha tentato la fortuna negli Stati Uniti con le traduzioni in inglese dei suoi libri. Con gli anni la sua fama si è diffusa a livello mondiale: i suoi romanzi, infatti, sono stati pubblicati in cinquanta lingue.

Penso che Il mestiere dello scrittore sia ottimo per chi aspira a scrivere storie e in particolare per chi è appassionato delle opere di Murakami. Tuttavia, c’è molto di più: conoscere la vita, le gioie e i dolori di uno scrittore che da oltre trent’anni è sulla scena editoriale, con coraggio, tenacia e umiltà, sia una grande fonte d’ispirazione per chiunque.

Voto complessivo: 8

5 modi per nascondere il cattivo in bella vista e sorprendere i lettori

Quella che segue è la mia traduzione dell’articolo “5 Ways to Hide Your Villain In Plain Sight” scritto da Kaitlin Hillerich e pubblicato su Ink And Quills il 16 ottobre 2015.

A volte, è preferibile che nella tua storia i lettori (o i tuoi personaggi) non sappiano subito chi sono i cattivi. Se ci pensi bene, il fatto che un criminale si mimetizzi ha una sua logica.

I cattivi sono subdoli, astuti e manipolatori. Non se ne vanno sempre in giro ad annunciare che sono i cattivi! Altre volte devono restare in incognito per ottenere quello che vogliono. E può capitare che il cattivo più spaventoso sia quello che non ti aspettavi.

Quindi, in che modo puoi nascondere i cattivoni della tua storia per ottenere un colpo di scena deliziosamente perfido? Devi capovolgere le aspettative dei tuoi lettori. Ovvero, prendi quello che i lettori si aspettano e pensano di sapere sui cattivi, e ribaltalo. Ecco cinque trucchetti da provare:

NB: Per illustrare gli esempi, questo articolo contiene spoiler delle seguenti opere: Frozen, Shadowhunters – Città di ossa di Cassandra Clare, la prima stagione di The Flash, la prima stagione di Teen Wolf, Harry Potter e la pietra filosofale di J.K. Rowling. Siete avvisati!

  1. Bello e affascinante

I lettori spesso si aspettano che i cattivi siano brutti o dall’aspetto spaventoso. Ripensate a tutti i film della Disney che avete visto da piccoli: Crudelia De Mon, Jafar, Ursula, Capitan Uncino, Malefica. Capivate subito se il personaggio era il cattivo perché era brutto o inquietante. Ma nella vita reale non sempre è tutto bianco o nero. Di frequente, la malvagità ha un bell’aspetto.

In Frozen, la Disney capovolge le aspettative che ha definito per anni. Viene introdotto il personaggio di Hans, un principe bello e affascinante che pare davvero una brava persona. Lui e la principessa Ana sembrano andare molto d’accordo. Cavolo, perfino il suo cavallo ha l’aria simpatica. Poi scopriamo che nonostante Hans abbia un bel faccino, dentro è marcio fino al midollo.

  1. Aiuta l’eroe

I lettori non sospetteranno mai che un personaggio che aiuta l’eroe possa essere un cattivo. Perché mai il malvagio dovrebbe aiutare il nemico? Ma potrebbe avere altri motivi che saranno chiari più avanti. Questo tipo di personaggio potrebbe essere un mentore, qualcuno che l’eroe ammira o vede come un idolo, oppure qualcuno che sembra disposto a dargli una mano. Quali secondi fini potrebbe nascondere?

In Shadowhunters – Città di ossa di Cassandra Clare, Hodge è il tutore dei personaggi principali. Ma più avanti scopriranno che in realtà è un ex seguace del cattivo ed è stato bandito nell’Istituto, dove è intrappolato da una maledizione. Aiuta i personaggi a procurarsi un oggetto che Valentine sta cercando, ma soltanto per poterlo consegnare a Valentine in cambio della libertà.

Nella serie TV The Flash, il dottor Wells è l’idolo di Barry e gli insegna a usare i suoi poteri. Ma in realtà, Wells viene dal futuro ed è rimasto intrappolato nel passato quando ha cercato di uccidere Barry prima che diventasse Flash. Ha bisogno che Barry diventi abbastanza veloce da aprire un portale che permetta a Wells di tornare nel suo mondo.

  1. Completamente inoffensivo

Il personaggio sulla sedia a rotelle o in coma non può essere il cattivo, vero? Insomma, non è possibile. Guardatelo, non farebbe mai del male a nessuno.

Sbagliato.

In The Flash, il dottor Wells finge di essere costretto sulla sedia a rotelle e, in questo modo, l’eroe non sospetta di lui. Nella prima stagione di Teen Wolf, Peter Hale appariva in stato di coma, così nessuno avrebbe sospettato che potesse essere il lupo mannaro Alpha che terrorizzava la città.

Ci aspettiamo che il cattivo sia fisicamente e mentalmente forte. Farlo apparire indifeso o innocuo è un ottimo modo per camuffarlo.

  1. Sciocco incompetente

I cattivi sono astuti, potenti e crudeli di natura, perciò quando ci imbattiamo in un personaggio che sembra uno sciocco pasticcione, non sospettiamo che sia malvagio. J.K. Rowling usa questa tecnica magnificamente con il professor Raptor in Harry Potter e la pietra filosofale. Nessuno sospetta che il professore balbuziente, timido e codardo in realtà lavori per Lord Voldemort.

  1. Piacevole

I cattivi non dovrebbero essere piacevoli. Sono oscuri, crudeli, perversi, egoisti e ingiusti. Quindi, se create un personaggio che appare allegro, gentile, amichevole e mostra perfino tratti eroici, il lettore non penserà che è il cattivo. Più il lettore apprezzerà il personaggio, meno sospetterà di lui perché non vorrà mai che sia il cattivo. Potrebbe anche essere il suo personaggio preferito! Questo finché non svela chi è realmente.

Torniamo a Hans di Frozen. Sembra dolce, affascinante e un po’ sciocchino/goffo, e quando Ana torna a cercare Elsa, lui dà una mano nella gestione del regno. Poi, quando il cavallo di Ana torna senza cavaliere, Hans va alla ricerca del suo amore. Sembra un atteggiamento eroico e onorevole, vero? Sì, finché non scopriamo che vuole sposare Ana per uccidere Elsa e impadronirsi del regno. Che cuore gelido!

7 consigli utili per scrivere storie originali ed evitare i cliché

Quella che segue è la mia traduzione dell’articolo “Story plots: How to be original in 7 tips” apparso su Now Novel.

Quando parliamo di trama, usiamo spesso la parola “originale”. Il termine deriva dal latino originalis e significa “inizio, fonte o nascita”. Scrivere un romanzo può essere l’inizio di una grande carriera, ma prima di tutto dobbiamo conoscere i più comuni cliché ed evitarli. Dobbiamo anche essere in grado di fare nostre le più note tipologie di trama. Ecco, dunque, sette consigli per creare trame originali.

  1. Riconosciamo i cliché più comuni

Uno degli errori più comuni che gli scrittori alle prime armi commettono è quello di affidarsi ai cliché. I cliché sono frustranti perché a forza di abusarne, hanno perso il loro valore. I mondi fantasy traboccano di draghi che scatenano la loro furia. I romanzi d’amore sono pieni di donne in pericolo che hanno bisogno di un uomo che le salvi. A parte questi, ce ne sono molti altri:

  • Il prescelto: il personaggio principale è stato scelto per un determinato compito, ma non c’è un antefatto o una spiegazione che chiarisca perché proprio questa persona in particolare ne è capace.
  • Succedono cose strane, ma si scopre che sono i sogni del personaggio (una trovata fin troppo comoda per i dilemmi di trama dell’autore).
  • Un altro esempio di cliché, segnalato da Strange Horizon: “Il protagonista bianco riceve consigli saggi e mistici da un nativo sacro e sempliciotto”.

In ciascuno di questi esempi ritroviamo sia una scappatoia, sia un tropo abusato (un “tropo” è un espediente letterario ricorrente, come un cliché). Nel primo esempio, non c’è niente che spieghi perché il protagonista è così speciale. J.K. Rowling evita il cliché del “prescelto” in Harry Potter dando a Harry un legame passato con il cattivo che spiega perché proprio lui in particolare deve affrontare la sfida.

Nel secondo tipo di trama abusata, c’è sempre il rischio di una scappatoia. La scoperta del fatto che il personaggio sta sognando avviene in un momento della trama intricatissimo: la rivelazione della realtà del mondo fittizio, quindi, è una via d’uscita.

Il terzo esempio è più un punto della trama piuttosto che una storia intera. Però ci dice qualcosa di prezioso sull’originalità: è meglio (per ragioni creative e anche politiche) non riproporre le idee dominanti e comunemente diffuse. Bisognerebbe evitarlo perché il messaggio di fondo potrebbe essere falso. È probabile che lo straniero (o un altro indigeno) in apparenza “esotico” sia pieno di difetti e stravagante tanto quanto il nostro protagonista.

Per rifuggire ai cliché, spesso è utile combinare idee di trama diverse e creare qualcosa di nuovo.

  1. Uniamo gli aspetti noti e creiamo qualcosa di originale

Il drago che terrorizza una città è un cliché fantasy. Può esserlo anche la strana circostanza che ne rivela la sua natura immaginaria. Tuttavia, unendo questi due cliché possiamo creare qualcosa d’interessante. Per esempio, se un abitante della città vicina andasse a indagare e scoprisse che il drago è solo un tassello dell’isteria collettiva della città? Che simboleggia qualcosa che terrorizza la città dall’interno? Esplorare questo terrore potrebbe rivelarsi uno sviluppo di trama affascinante. Unire le trame cliché è come una reazione chimica: si può cristallizzare qualcosa d’interessante.

Suzanne Collins, l’autrice di Hunger Games, ha dichiarato che l’idea per il romanzo le è venuta mentre faceva zapping davanti al televisore. Le immagini sovrapposte di persone che gareggiavano per un premio su un canale e persone che combattevano in una guerra vera su un altro canale si sono unite nella sua mente. Il risultato è la storia di una società nella quale i giovani sono obbligati a combattere all’ultimo sangue.

Utilizziamo lo stesso metodo e uniamo diverse idee di trama, assicurandoci che l’idea centrale del nostro romanzo non segua un percorso noto verso una conclusione scontata.

  1. Distinguiamo le sette idee di trama basilari ed evitiamo le tendenze meno originali

Nel libro The Seven Basic Plots di Christopher Booker, pubblicato nel 2004, Brooker definisce le sette tipologie di trama basilari. In sintesi:

  1. L’eroe sconfigge il mostro/il cattivo;
  2. Dalle stalle alle stelle: il protagonista arriva al successo;
  3. L’impresa importante: il personaggio (o gruppo di personaggi) parte per una missione cruciale;
  4. Andata e ritorno: l’avventuriero viaggia, ha un’esperienza che gli cambia la vita e torna a casa;
  5. La commedia: il caos e la confusione fanno strada alla risoluzione;
  6. La tragedia: i personaggi pagano il prezzo di avere difetti;
  7. La rinascita: il personaggio emerge trasformato da un percorso alla scoperta di sé.

Ciascuna di queste tipologie di trama ha un’insidia che dobbiamo evitare se vogliamo che la nostra trama sia originale. Nell’impresa importante, l’eroe ha solitamente un aiutante fidato che dimostra un coraggio sorprendente. Nelle storie di rivalsa, l’eroina ottiene tutto quello che ha sempre sognato: la casa, il principe affascinante, la felicità. Pensiamo a come rendere meno scontate queste storie. Quando l’eroe deve battersi contro il cattivo, mostriamo il cattivo nell’eroe e viceversa. Nella storia “dalle stalle alle stelle”, una risoluzione dolceamara sorprenderà i lettori che si aspettavano una conclusione più ordinata ma prevedibile.

Il percorso che va da A a C tramite B può sembrare scontato e prevedibile. Quindi, come possiamo fare nostre le più comuni trame?

  1. Inseriamo nella trama nota un intreccio secondario

Prendiamo la tipologia comune “il giovane uomo prescelto è destinato a fronteggiare una grande malvagità”. Sarebbe noioso se la progressione verso il conflitto finale si rivelasse lineare. È qui che gli intrecci secondari ci aiutano a trasformare il materiale di base noto in qualcosa di diverso e avvincente.

Per esempio, nella serie fantasy young adult d’incredibile successo di J.K. Rowling, Harry è diretto verso il conflitto finale ed è il “prescelto”. Eppure, l’ambientazione della Rowling – la scuola di stregoneria e di magia – permette qualsiasi tipo d’intreccio secondario, archi narrativi e momenti di tensione minori. La vita quotidiana a scuola, unita ai conflitti fra insegnanti e studenti e al romanticismo in erba, consente alla storia di zigzagare verso la fine ed evitare il percorso prevedibile.

Se abbiamo un drago che custodisce gelosamente la sua torre, non mandiamoci subito il protagonista ad affrontarlo. Al contrario, creiamo intrecci secondari che spostano l’attenzione dei lettori dall’aspetto meno originale della nostra storia.

  1. Facciamoci guidare da romanzi originali nel nostro genere

Una delle trappole più grandi per gli aspiranti scrittori che vogliono essere originali è confondere i cliché del genere con le necessità del genere. Il nostro mondo fantasy non deve avere per forza regni belligeranti (anche se a questo possiamo dare il nostro tocco unico). Nel nostro romanzo d’amore non dev’esserci per forza il milionario benestante che fa innamorare la squattrinata Jane.

Se vogliamo diventare più originali nella scrittura, facciamo qualche ricerca e scopriamo quali romanzi nel nostro genere sono considerati particolarmente originali. Leggiamone alcuni e domandiamoci:

  • Quali elementi noti di questo genere (per esempio: i regni belligeranti o il buon partito ricco e garbato) utilizza il romanzo?
  • In che modo il libro riesce a rendere questi elementi meno scontati? Quali complicazioni/sorprese/differenze fanno spiccare questo romanzo da altri che seguono linee di trama simili?

Pensiamo alle possibili aspettative dei lettori nei confronti della nostra particolare tipologia di trama e pianifichiamo attivamente un modo per sorprenderli.

  1. Contrastiamo le aspettative e i preconcetti del lettore

Quando una trama ci sembra originale, spesso è perché non risponde alle nostre aspettative. Ecco perché succede:

  • La storia ricade in uno specifico genere (per esempio: romanzi d’amore), ma non corrisponde alle nostre aspettative (gli amanti non stanno insieme alla fine);
  • Le aspettative create da certi tropi (per esempio: il ragazzo prescelto deve compiere un’impresa importante) non sono soddisfatte nel modo che ci aspetteremmo (l’obiettivo dell’impresa del ragazzo cambia con uno sviluppo di trama significativo, per esempio).

Per far sì che il nostro romanzo sia sorprendentemente originale, cerchiamo un modo per sovvertire o alterare i dettagli standard del nostro genere (che si tratti dell’aiutante fidato o del subdolo cattivo).

  1. Non sforziamoci troppo: un po’ di convenzionalità può funzionare

Anche se l’originalità rende una storia memorabile, la ripetizione è uno degli elementi appaganti del narrare storie. Una storia che contiene elementi noti ci permette di posizionarla in un retaggio e in un contesto specifici. Concentriamoci sul modo di sfruttare storie note per i nostri scopi, piuttosto che renderle stravaganti solo per il mero fine dell’originalità. In sostanza, la finzione è molto più originale quando esprime la nostra unica e personale miscela di prospettiva, passione e fascino nella scrittura.

Dave Gahan parla del nuovo album Spirit e di David Bowie

Quella che segue è la mia traduzione dell’articolo di Kory Grow “Depeche Mode’s Dave Gahan on Urgent New ‘Spirit’ LP, David Bowie Influence” pubblicato su Rolling Stone il 2 febbraio 2017.

Dave Gahan dei Depeche Mode parla di Spirit, l’album di prossima uscita e dell’influenza che David Bowie ha esercitato sul gruppo. Foto di Anton Corbijn

«Viviamo in un’epoca di vero cambiamento», dice Dave Gahan, il cantante dei Depeche Mode, l’incarnazione dell’intensità, vestito di nero da capo a piedi. «Più vado avanti con gli anni, più le cose che accadono nel mondo mi colpiscono. Penso ai miei figli e a quello che vedranno da adulti. Le ultime elezioni hanno toccato profondamente mia figlia Rosie. Addirittura piangeva e io sono rimasto molto sorpreso.»

È una giornata nuvolosa di metà gennaio. Il cantante cinquantaquattrenne dà una forchettata alle tagliatelle nel ristorante di un hotel nel centro di Manhattan, dove vive da circa una decina d’anni. Nonostante la sua preoccupazione per lo stato del mondo, è di buon umore e riesce a guardare a se stesso con obiettività. «Io e Martin [Gore] viviamo in America, perciò quello che succede ci tocca molto», afferma. «Martin mi ha detto: “So che alcuni penseranno che siamo rockstar ricche che vivono nel loro villone a Santa Barbara e che se ne fregano di tutto. È vero che siamo fortunati, ma questo non vuol dire che smettiamo d’interessarci a quello che succede nel mondo. In realtà mi tocca parecchio”. E io gli ho detto: “Ti capisco, la penso come te”.»

Questa preoccupazione ha pervaso Gahan e gli altri Depeche Mode mentre scrivevano Spirit, l’album che sarà pubblicato il 17 marzo. Molte delle 12 canzoni dell’LP se la vedono direttamente con questo senso generale di weltschmerz, di dolore cosmico, che ultimamente attraversa il mondo. Nonostante i Depeche Mode siano diventati superstar per una legione di scontenti e disillusi abbigliati di nero con brani seri sulla compassione universale (“People are people”) e altre rivelazioni più intime (“Enjoy the Silence”, “I Feel You”), le nuove canzoni sembrano un diverso capitolo del gruppo. «Non lo definirei un album politico», dice Gahan, «perché non ascolto la musica in maniera politica. Certamente parla dell’umanità e del nostro posto al suo interno.»

Canta di bigotti che «riportano indietro la storia» in “Backwards”, incita audacemente al cambiamento in “Where’s the Revolution?” («Chi prende le decisioni», canta, «tu o la tua religione?») e offre uno sguardo più intimista nella meditativa “Poison Heart”. Queste canzoni hanno tinte dark e strutture complesse, sound freddi e caldi allo stesso tempo, musicalmente ricordano non solo l’era di Violator, ma appaiono anche come un’estensione dell’ultimo album del 2013, Delta Machine.

La consapevolezza di Gahan e Gore sulle idee condivise riguardo agli eventi mondiali si è manifestata subito quando si sono ritrovati l’anno scorso con Andy Fletcher per cominciare a realizzare il nuovo album. Dopo avere esposto tutti i loro pensieri, hanno visto un filo conduttore. «Abbiamo intitolato l’album Spirit perché ci siamo chiesti: “Dov’è finito lo spirito?” oppure “Dov’è lo spirito nell’umanità?”», dice Gahan. «Avevamo anche pensato a Maelstrom, però suonava troppo heavy metal.»

Hanno chiamato il produttore James Ford, la cui collaborazione con Florence and the Machine, Arctic Monkeys e Simian Mobile Disco aveva colpito il gruppo. Ha aiutato i musicisti a ritrovare una visione comune. A parte qualche disaccordo fra Gahan e Gore che Ford ha sistemato («Abbiamo messo in chiaro le cose», aggiunge Gahan con una risata, «è stato un momento emotivamente intenso»), il processo di registrazione è stato relativamente veloce e senza difficoltà, con sedute nello studio di Gore a Santa Barbara e a New York.

Il gruppo è in procinto di pubblicare il primo singolo firmato da Gore “Where’s the Revolution?”. Il pezzo cresce lentamente, con qualche synth sfocato, e serve da chiamata alle armi, nel quale Gahan canta: «Il treno sta arrivando/Salite a bordo», insieme alla domanda del titolo. «Martin l’ha scritto in modo molto sarcastico, all’inglese», afferma Gahan.

È uno stato d’animo che continua in un’altra canzone di Spirit, “Backwards”. Si apre con Gahan che canta: «Siamo i bigotti/Non permettiamo/Non rispettiamo/Abbiamo perso il controllo». Prosegue rimproverando duramente la «mentalità da cavernicoli» di alcune persone e il modo in cui altri «si sentono vuoti dentro», fra un tamburellare di tastiere e ritmi martellanti, con il coro di Gore a completamento. «Se vogliamo che le cose cambino, se vogliamo una rivoluzione, dobbiamo parlarne e interessarci a quello che succede nel mondo», dice Gahan. «A quanto pare a Londra sta accadendo il contrario. Sembra quasi che stiamo andando in un’altra direzione e credo che Martin volesse esprimerlo.»

Questa tematica risuona anche in un’altra canzone scritta da Gore, “So Much Love”, un pezzo più ottimistico ed elettronico che parla dell’amore che tutti hanno dentro di sé. «Abbiamo tanto amore dentro di noi, ma abbiamo paura di attingere a quell’amore e a usarlo», sostiene Gahan. «È una cosa un po’ alla John Lennon: “Pace e amore, amico”.»

Sebbene Gahan veda un collegamento con i Beatles, la canzone è lontanissima dai Fab Four, con il suo miscuglio denso e rumoroso di tastiere, la drum-machine e un’inquietante parte di chitarra. Gahan sostiene che quella canzone, musicalmente, è molto più vicina ai primissimi Depeche Mode.

«Fra il 1979 e ’80 facevamo concerti di venticinque minuti nei quali io scrivevo dei puntini sulla drum-machine e alzavo e abbassavo per velocizzare o rallentare», ricorda Gahan. «Era un muro di suono. Attaccavamo tre tastiere alla drum-machine e tre microfoni, per Vince [Clarke], Martin e per me, così ottenevamo armonie in tre parti e una drum-machine molto distorta. [“So Much Love”] mi ricorda anche i primi lavori elettronici di Tuxedomoon e Cabaret Voltaire, che facevano canzoni un po’ punk e distorte.»

Gahan nel 1980. «Era un muro di suono», dice dei primi show dei Depeche Mode. Foto di David Corio/Michael Ochs Archives/Getty

Invece, nella ballata “Poison Heart”, il sound è opposto. Un pezzo particolarmente orecchiabile ed eufonico che Gahan ha creato con il batterista Christian Eigner e il tastierista Peter Gordeno. «Mi hanno mandato una parte di chitarra, aveva qualcosa di Muscle Shoals», dice Gahan. «Evocava un’atmosfera particolare e avevo una melodia in mente.» Comincia con una lenta marcia funebre nello stile di “I Put a Spell on You” di Screamin’ Jay Hawkins e cresce fino a un bridge alla Beatles e giusto un pizzico di chitarra rumorosa. Gore, che secondo Gahan «non è un uomo di molte parole riguardo alle canzoni degli altri», ha definito “Poison Heart” la migliore canzone mai scritta da Gahan.

«Hai il veleno nel cuore», canta sommessamente all’inizio della canzone. Più avanti, prosegue: «Sai che è ora di chiudere/Resterai sempre solo», ma Gahan dice che non è da intendersi come una canzone di rottura.

«Stavo guardando il telegiornale e scrivevo della mia incapacità di relazionarmi per davvero con un altro essere umano», spiega. «Devo avere qualcosa che non funziona, forse ho del veleno nel cuore, o qualcosa di simile. È stato divertente giocare con quest’immagine, poi mi sono spostato sul piano materiale: avidità, lussuria e bramare qualcosa, fregandosene di tutto. Volevo rompere con me stesso, cercare di evolvermi, rompere con vecchie idee che funzionano nella mia mente, ma non nella realtà. Per fortuna, non mi riferisco al rapporto con mia moglie.»

Ride, mentre dà una forchettata alla pasta, e dice che “Poison Heart” completa un’altra canzone dell’album che Rolling Stone non ha avuto modo di ascoltare, intitolata “Worst Crime”. «Il testo di “Poison Heart” è più che altro un dialogo interiore, ma “Worst Crime” guarda all’esterno», afferma. «Bisogna portare il cambiamento. Devi fare qualcosa di diverso o cambiare comportamento. Possiamo discutere di qualsiasi cosa fino a diventare paonazzi, ma a un certo punto bisogna agire, anche se a volte non è molto chiaro in che modo. Io credo che le persone siano sostanzialmente buone, ma le informazioni che ci vengono date ci deformano e di conseguenza le nostre azioni sono dettate dalla paura.»

Gahan ha espresso quest’opinione in un’altra canzone dell’album che s’intitola “Cover Me”, che descrive come una canzone narrativa. «Parla di una persona che va su un altro pianeta per poi scoprire, con suo enorme sconforto, che è uguale alla Terra», spiega Gahan. «È un altro pianeta, ma alla fine è identico. Non riesce a scappare da se stesso. Se vuole che le cose cambino, deve attuare lui stesso un cambiamento.»

Se questa premessa ricorda David Bowie, è soltanto perché l’uomo delle stelle ha influenzato profondamente Gahan e Gore per tutta la loro carriera. «Quando Bowie è morto, siamo rimasti impietriti», dice Gahan. «C’era un legame personale. È stata una perdita immensa.»

Gahan ricorda di avere pianto, nel gennaio dell’anno scorso, quando ha saputo della morte di David Bowie. Si era abituato a vedere Bowie in ambienti sociali sorprendentemente normali, le figlie di Gahan e di Bowie hanno circa la stessa età e frequentano la stessa scuola. A volte, Gahan chiacchierava con Bowie alle riunioni scolastiche. «Era molto diverso dal David Bowie che conoscevo da ragazzo, che adoravo e col quale ho vissuto indirettamente», racconta. Era diventato un suo fan da adolescente guardando Top of the Pops e si è attaccato all’androginia di Bowie perché a sua madre non piaceva. A sedici anni ha messo insieme un po’ di soldi («Sono sicuro di avere rubato qualcosa e di averlo rivenduto», dice) per andare a vedere Bowie esibirsi all’Earls Court di Londra nel 1978 e secondo lui, l’album live doppio, Stage, registrato durante quel tour, è «una sorta di tranquillante», un Bowie al quale ricorrere in caso di bisogno.

«Avevo visto la notizia ma è stato soltanto quando mia moglie mi ha detto che era morto che sono scoppiato a piangere», ricorda Gahan. «Mia figlia è venuta da me ed entrambe mi hanno abbracciato. Ero davvero sconvolto. Sentivo un enorme senso di vuoto. Il mio più grande rammarico era di non averlo fermato una delle volte che l’avevo visto passare per potergli dire: “Sai, David, ogni tanto ci incontriamo ma non ti ho mai detto quanto la tua musica abbia significato per me e quanto sia ancora importante”.»

Gahan e Bowie con Serj Tankian dei System of a Down nel 2002. «È stata una perdita immensa», dice Gahan della morte di Bowie. Foto di Kevin Mazur/WireImage/Getty

Per rimediare, i Depeche Mode hanno reso omaggio a Bowie in un concerto speciale registrato di recente nel parco di High Line a New York. L’hanno filmato, ma senza la presenza del pubblico, includendo alcune canzoni da Spirit, con una drum-machine, Gore alla chitarra, coronando l’esibizione con una cover di “Heroes”. «Ero così commosso che a malapena sono riuscito a contenermi», dice Gahan. «Martin ha ascoltato “Heroes” dopo il missaggio e mi ha detto: “Wow, sai che è venuta proprio bene” e io ero d’accordo con lui.»

Anche se i Depeche Mode non hanno ancora deciso in che modo distribuire questo filmato, Gahan è ansioso di far vedere al pubblico tutto il concerto, in particolare “Heroes”. Nel frattempo, sta già ritornando all’idea di esibirsi dal vivo e diffondere alla gente il nuovo messaggio di consapevolezza proposto dalla band. Secondo una sua stima, il gruppo ha già venduto oltre un milione di biglietti per alcune decine di concerti negli stadi europei che si terranno fra qualche mese, mentre stanno ancora pianificando il tour negli Stati Uniti. Le prove cominceranno a metà febbraio.

Ma l’entusiasmo di Gahan è rivolto in particolare all’interesse immediato suscitato dal prossimo tour europeo, poiché molte date sono andate sold out ancor prima della pubblicazione del nuovo singolo. «Abbiamo lottato molti anni per farci sentire e per ottenere rispetto», dice. «Alcune recensioni dei nostri album passati sono state particolarmente dure. E quindi pensi: “Queste persone proprio non ci capiscono. Non capiscono.”»

Tuttavia, nelle ultime quattro decadi, i Depeche Mode hanno raggruppato una fan base affezionata, che si è riproposta anche quando Gahan ha lavorato al progetto collaterale con il team dei Soulsavers. Rich Machin, uno dei componenti del gruppo, gli ha confessato che i dischi dei Depeche Mode, come Violator e Songs of Faith and Devotion, erano fra i suoi preferiti quando aveva tredici anni.

«Per lui erano importanti come Diamond Dogs e Ziggy Stardust lo erano per me, gli album di quando te ne stai in camera tua e ti chiedi perché non riesci a integrarti nel resto del mondo», dice Gahan. «A quell’età facevo questo con David Bowie. Avevo trovato in lui una persona che riuscivo a capire, mi faceva sentire parte del suo mondo, quando mi sentivo alienato. Per questo credo che i Depeche Mode attirino tante persone. In qualche modo è confortante sapere che non sei solo. Naturalmente non sei solo, nessuno di noi è solo. Ma la musica è quella cosa che attraversa tutti i confini e unisce le persone, per quanto strambe siano.»

Un sentimento che è risuonato anche l’anno scorso quando è arrivato l’annuncio che i Depeche Mode erano stati nominati per accedere per la prima volta alla Rock and Roll Hall of Fame, anche se alla fine non ci sono riusciti. «Non facciamo parte della struttura, e ne sono orgoglioso», afferma. «Spicchiamo per essere un po’ strambi. Sapevamo che non saremmo riusciti a entrare nella Rock and Roll Hall of Fame, ma qualcuno ha scritto: “Sono un gruppo che si mette l’eyeliner, scrive canzoni depravate su argomenti contorti, strani e deprimenti”.»

«L’ho preso come un gran complimento», continua. «Perché siamo un po’ strambi e abbiamo sempre attratto gli strambi che sono là fuori, gli strambi nel mondo. I nostri fan e le persone come noi sono un manipolo che non si sente a proprio agio a bazzicare con gli altri. Siamo un po’ impacciati, un po’ nerd, un po’ diversi. Ci siamo trovati e siamo diventati una squadra.» Ride mostrando il proprio orgoglio. «Ed è una squadra enorme adesso.»

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